Intervista a Caltagirone

Caltagirone: «Generali? È una battaglia per l’indipendenza. Con noi tolleranza zero sui conflitti d’interesse»

Francesco Gaetano Caltagirone illustra il suo programma per il Leone di Trieste

di Laura Galvagni e Fabio Tamburini

Generali, l'affondo finale di Caltagirone e Del Vecchio per il controllo

8' di lettura

La battaglia di Trieste? «È una guerra d’indipendenza delle Generali, poi verrà il Risorgimento». L’obiettivo finale? «Una grande multinazionale con sovranità italiana che protegga i risparmi del paese». E la strategia? «Non può essere un gruppo planetario, occorre fare delle scelte e stabilire delle priorità. Le compagnie assicurative hanno tre gambe: danni, vita e risparmio. Per i primi due il focus dev’essere il mercato domestico, che per me è l’Europa, e l’Oriente, inteso come Cina e India. Per il risparmio gli Stati Uniti». Francesco Gaetano Caltagirone, quasi 3 miliardi di euro investiti nelle Generali, parla per la prima volta dei piani per il Leone e lo fa in questo colloquio con Il Sole 24 Ore. A un mese dall’assemblea che dovrà decidere per il rinnovo del consiglio, l’imprenditore romano ha schierato le forze in campo presentando una propria lista di maggioranza con Claudio Costamagna alla presidenza e Luciano Cirinà come ceo. Di una cosa però Caltagirone è sicuro: se all’assemblea del 29 aprile dovesse prevalere la lista presentata dal consiglio di amministrazione, sostenuta da Mediobanca, continuerà nella battaglia. Perché questa, dice, «non è una puntata sul rosso o il nero della roulette russa ma un percorso decisivo per migliorare le Generali».

Dove nascono lo scontro con Mediobanca e la richiesta di sostituire l’amministratore delegato di Generali, Philippe Donnet?

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La presentazione di una lista breve per avere una rappresentanza adeguata in consiglio, viste anche le modifiche apportate da Generali allo statuto, era un atto scontato. Ma abbiamo voluto fare di più e predisporre una lista di maggioranza. Una scelta, tuttavia, che è arrivata dopo la decisione del cda attuale di presentare una lista propria. Scelta, quest’ultima, certamente atipica e che non è mai stata motivata. La lista del consiglio è uno strumento che viene utilizzato nelle società dove il capitale è frammentato, dove non esistono soci che possano esprimere e sostenere dei candidati. Di fatto è un servizio che la compagnia offre agli azionisti. Ma non è questo il caso, dato che i soci stabili italiani controllano ben oltre il 30% delle Generali. Negli altri paesi, in aggiunta, viene votato il singolo nome di consigliere mentre in Italia, stante il meccanismo del voto di lista, ci si esprime su un elenco nella sua interezza. Con la conseguenza che l’operazione si trasforma in uno strumento di potere.

Che cosa intende?

Il cda uscente di Generali è espressione di Mediobanca che quindi sta cercando di perpetuare la propria influenza travestendola da lista del board. Per di più in una situazione che, quando si è trattato di votare la presentazione della lista, ha visto il cda spaccarsi: due terzi hanno votato sì, un terzo no. In definitiva, la lista del consiglio è rappresentativa solo di una certa parte di azionariato, cioè di Mediobanca. È mancata, inoltre, la condivisione su almeno un paio di elementi di fondo: la visione e la governance.

Il management attuale di Generali rivendica di avere sempre centrato gli obiettivi e di avere remunerato in misura adeguata gli azionisti nonostante un contesto difficile. Perché lo critica?

La visione che ha avuto Generali non è adeguata a quella di una grande impresa che può e deve raccogliere sfide di carattere mondiale. E proprio la mancanza di sfide ha portato a operazioni di piccolo cabotaggio che hanno generato utili ma non crescita. Venti anni fa Generali era seconda solo ad Allianz, mentre ora è metà di Zurich e Axa, un terzo di Allianz. Zurich peraltro è guidata con grande visione da Mario Greco, ex ad delle Generali andato via per contrasti con l’azionista di maggioranza relativa.

Ritiene che la carenza di visione sia legata a scelte manageriali o ad altro?

È il risultato delle scelte del socio di maggioranza relativa. Tanto che anche Mediobanca ha perso enormemente terreno rispetto a competitor come Lazard e Rothschild, nonostante abbia il vantaggio di avere in bilancio la partecipazione nelle Generali. Mediobanca non ha saputo superare i confini dell’Italia e ha assistito alla colonizzazione del mercato italiano da parte delle banche d’affari internazionali, senza ottenere alcuna reciprocità, senza dimostrare la capacità di crescere in altri Paesi. Oggi, escludendo Compass e Generali, Mediobanca è poca cosa.

L’AZIONARIATO DI GENERALI
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Una svolta sarebbe necessaria anche in Piazzetta Cuccia?

Io mi interesso solo di Generali.

Una delle critiche che vengono mosse a Mediobanca è che la mancata crescita di Trieste sia da attribuire a un conflitto d’interesse evidente. Conferma?

Sono convinto che le operazioni con parti correlate debbano essere l’eccezione e non un’abitudine quotidiana. Invece sono migliaia all’anno e solo un piccolo numero – si contano sulle dita di una mano – passa in comitato parti correlate. Tra queste molte sono con Mediobanca e non vengono controllate dal comitato parti correlate. Su mia iniziativa, a suo tempo, ho voluto che per la parte immobiliare fosse fissata una soglia di 100mila euro per definire le operazioni con parti correlate, mentre per la gestione finanziaria degli attivi della società non c’è alcun limite. Ciò è dovuto alla procedura stabilita dall’azienda che consente di evitare il passaggio nel comitato parti correlate di tutti gli investimenti finanziari ordinari, a prescindere dall’importo. La prima cosa che faremo, se avremo successo in assemblea, sarà di modificare il regolamento in senso fortissimamente restrittivo, con l’obiettivo di dare al mercato la trasparenza che merita. Affinché questo possa accadere occorre evitare che i conflitti d’interesse pesino sulle scelte di voto in assemblea. Su questo faremo particolare attenzione.

Per quanto riguarda i conflitti d’interesse tra Mediobanca e Generali può citare qualche esempio? Forse l’offerta della stessa Mediobanca per Banca Generali, o la mancata partecipazione della compagnia alla gara per la rete dei promotori di Deutsche Bank in Italia?

Certamente sono degli esempi. Ma c’è stata anche l’operazione Cattolica, portata in consiglio senza che ci fosse stato dato il tempo di analizzarla, peraltro in piena pandemia e a prezzi molto superiori a quelli di mercato. Non solo. Ricordo anche l’ipotesi d’investimento in Russia, valutata esattamente un anno fa e faticosamente bloccata. Immaginate le conseguenze se non lo avessimo fatto? Il venditore era la francese Axa, nostro competitor nonché controparte, sempre come venditore, in ben altri tre dossier: Axa Grecia, Axa Polonia e Axa Malesia…

Prima faceva cenno anche a scontri sulla governance.

Sì, di fatto Generali sconta una presidenza completamente senza deleghe, non ha un direttore generale e non ha un comitato esecutivo. Tutti i poteri sono concentrati nelle mani dell’amministratore delegato, che è stato anche alla guida del comitato investimenti e del comitato strategico. L’Ivass consiglia per le compagnie assicurative presidenti senza deleghe, ma è altrettanto vero che la governance del gruppo doveva essere riequilibrata. L’indipendenza del management non si garantisce solo con una presenza ampia di consiglieri indipendenti ma anche con una distribuzione equilibrata del potere, altrimenti è un regime. Noi vogliamo una governance che sia attenta non solo alle apparenze ma anche alla sostanza.

Conta di poter garantire una svolta?

Il candidato amministratore delegato nella lista che ho proposto, Luciano Cirinà, è uno dei dirigenti di maggior peso delle Generali, con una esperienza che non ha quasi nessuno. Negli anni ha portato risultati di gran lunga migliori a quelli del resto del gruppo. Triestino, attualmente è a capo dell’Est Europa, un’area che ha leggi, valute, lingue e tassi d’interesse diversi. È un uomo di azienda, che sta 12 ore alla scrivania, che conosce perfettamente la struttura ed è conosciuto da tutti, può prendere immediatamente il timone delle Generali. È una scelta che è un messaggio a tutto il management della Compagnia che è un management di enorme valore e che deve essere messo nelle condizioni di esprimere liberamente le proprie potenzialità.

Costamagna invece?

Claudio Costamagna è un uomo di finanza, di grandi relazioni internazionali e di esperienza. Sono complementari, due facce della stessa medaglia. Così come sono complementari i candidati al board: c’è la componente imprenditoriale, mia e di Flavio Cattaneo, quella giuridica, quella universitaria, una forte competenza sul risk management, sull’innovazione e sul digitale, la forte presenza d’indipendenti, le molteplici esperienze sulla scena globale e nei cda di grandi aziende. Sarà un cda completo ed equilibrato, italiano ma con grandi esperienze e ruoli internazionali.

Il cda, se verrà eletto, dovrà portare avanti il piano che avete preparato. Può anticiparne le linee essenziali?

Ne parleranno i manager. Va chiarito però che è un programma alternativo, costruito solo su numeri ufficiali, gli unici che conosciamo, non è ancora un piano. Le compagnie assicurative hanno tre gambe: vita, danni e risparmio. Nei tre settori è necessario riflettere su dove indirizzare le energie del gruppo. Generali non può avere una presenza planetaria. Nel risparmio è necessario guardare agli Stati Uniti, mentre per danni e vita al mercato domestico, ossia l’Europa, e all’Oriente, dunque India e Cina. In questi anni in Europa abbiamo venduto Belgio e Olanda e acquistato Grecia e Portogallo, ossia siamo usciti dai paesi con Pil elevato e siamo entrati in aree a bassa crescita. Non mi pare una grande strategia. Non solo. Nella gestione dei patrimoni la scelta è stata di puntare sulle boutique, ma non ha portato i frutti sperati e le acquisizioni sono state deludenti. Generali ha le carte in regola per diventare una grande multinazionale italiana leader nel risparmio gestito. L’Italia è un grande Paese e merita di avere un numero maggiore di grandi gruppi, nella finanza come nell’industria.

Se perderete in assemblea cosa farete?

È una guerra d’indipendenza delle Generali, poi verrà il Risorgimento. Noi non ci poniamo come antagonisti, siamo un pezzo della società che vuole il bene della società. Abbiamo investito cifre rilevanti, crediamo nella compagnia e siamo interessati al suo futuro, vogliamo migliorare le Generali e continueremo a farlo. Non è una puntata sul rosso o il nero della roulette russa, ma la tappa di un percorso.

Ha avuto, almeno per qualche mese, altri compagni di viaggio, come per esempio Leonardo Del Vecchio, crede che la seguiranno in assemblea?

Da metà dicembre ho scelto di non avere più alcun contatto con loro, neppure telefonico, per evitare qualsiasi dubbio ed è stato così fino al giorno della presentazione della lista, escluso il momento in cui ho comunicato la mia uscita dal patto di consultazione. Il cavaliere Del Vecchio è un uomo eccezionale, con una storia straordinaria. A 80 anni ha avuto il coraggio di riprendere in mano la direzione del gruppo Luxottica e in pochi anni ne ha moltiplicato il valore sapendosi circondare di collaboratori di valore e competenza.

E Fondazione CrT?

Fondazione CrT ha un percorso di scelte oculate e d’investimenti solidi, senza avventure. È una delle fondazioni che meglio ha contribuito alla stabilità del sistema bancario riuscendo contemporaneamente ad avere bilanci floridi per adempiere agli scopi istituzionali a supporto del territorio.

Cosa si aspetta invece dai Benetton, che hanno quasi il 4% di Generali e fino ad oggi non si sono schierati ufficialmente?

Ho avuto modo di conoscerli bene, siamo stati soci per anni nella felice esperienza di Grandi Stazioni. Ho potuto apprezzare la loro serietà e correttezza. Hanno assorbito un evento traumatico, che si è peraltro sovrapposto a una successione di generazioni, e mi pare che siano orientati verso la scelta di rimanere imprenditori e non di trasformarsi, come spesso accade nel nostro Paese, in ricchi.

L’apporto dei Benetton potrebbe rivelarsi decisivo, come altrettanto decisivo potrà essere il prestito titoli di Mediobanca.

Controllare una società affittandone le azioni sarebbe un precedente di peso, trasformerebbe il mercato italiano in una piazza dove non serve investire ma basta prendere a prestito. In alcuni paesi tutto questo è vietato dalla legge penale, in altri viene comunque considerata una interferenza indebita sull’assemblea. In Italia è una cosa nuova, con effetti che potranno rivelarsi insostenibili per il mercato: si tratterebbe di un precedente applicabile anche in altre società. Il regolatore e il legislatore saranno costretti ad affrontare questa tematica.

Crede che lo faranno prima dell’assemblea?

Me lo auguro. Sarebbe un peccato se non fosse così.

Un’ultima domanda, la critica che è stata mossa più spesso a lei o Del Vecchio è che non abbiate più l’età per impegnarvi in certe battaglie.

L’investimento non è personale ma aziendale e la mia età non conta. Il Gruppo ha le risorse umane e patrimoniali per gestire al meglio la partecipazione. I miei tre figli saranno validi successori con una lunga esperienza maturata nella gestione.

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