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Il capitalismo può cambiare anche dall’interno (ma non sarà affatto facile)

Definire la finalità dell’impresa interessa e divide sia chi svolge l’attività economica come proprietario, dirigente e amministratore, sia chi la analizza dal punto di vista economico, giuridico e manageriale

di Andrea Goldstein

Illustrazione di Giorgio De Marinis / Il Sole 24 Ore

4' di lettura

Definire la finalità dell’impresa interessa e divide sia chi svolge l’attività economica come proprietario, dirigente e amministratore, sia chi la analizza dal punto di vista economico, giuridico e manageriale. Al di là delle descrizioni caricaturali che, a 50 anni dalla sua pubblicazione, si fanno ancora della celebre dottrina di Milton Friedman («the business of business is business»), è condiviso il sentimento che l’impresa non agisca nell’esclusivo interesse degli apportatori di capitale di rischio. Ma quando dai princìpi generali si passa alle applicazioni pratiche, le cose si complicano, perché conciliare obiettivi e sensibilità tanto differenti da poter sembrare incompatibili è una sfida immane anche per i migliori (come dimostra Paolo Bricco nel suo nuovo saggio su Adriano Olivetti).

La société à mission in Francia

Senza l’ambizione di dipanare la matassa, la Francia ha legiferato in materia con la legge Pacte del 2019, che introduce la société à mission, consentendo all’impresa di iscrivere in statuto una serie di obiettivi d’interesse collettivo che valgono a delinearne la missione che diventa pertanto legalmente opponibile. La prima, e la principale, delle 150 società che hanno adottato questa forma giuridica è stata, nel 2020, Danone sotto la leadership di Emmanuel Faber, considerato a giusto titolo il più «sociale» tra i patron d’Oltralpe. Ma, meno di un anno dopo aver fatto la sua piccola rivoluzione, Faber ha perso la battaglia contro i fondi attivisti. Una parabola che contiene parecchi elementi per riflettere sul futuro del capitalismo privato in Occidente.

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Intanto chi è Faber. A prima vista un tipico prodotto del sistema meritocratico francese: nato a Grenoble, prepara l’esame per le grandes écoles parigine nel miglior liceo pubblico di Lione, si laurea a Hec e inizia a lavorare in consulenza e finanza. A guardar meglio, però, si scopre un personaggio più complesso: a 26 anni pubblica un libro critico sul mondo degli affari (“Main basse sur la cité”) che gli vale il licenziamento; quindi perde il fratello minore schizofrenico, dopo anni di ospedali psichiatrici e vita in strada. Un dramma di cui parla spesso e che lo porta a frequentare ambienti lontani dai luoghi del grande capitalismo. Conoscere il profilo di un dirigente d’azienda non è voyeurisme – secondo uno studio condotto su 1.199 Ceo in 819 società americane, le caratteristiche del capoazienda spiegano un terzo della differenza nell’intensità delle azioni «ecoresponsabili» (Boone et al., 2021).

Il discorso di Marsiglia

Faber sembra però un predestinato e brucia le tappe, a 29 anni è il più giovane Cfo di una società francese quotata e nel 1998 entra in Danone con lo stesso titolo, diventando presto erede designato di Franck Riboud, figlio di Antoine. Il gruppo agroalimentare della famiglia Riboud è già noto per l’attenzione alle politiche sociali, soprattutto grazie ad Antoine che nel 1972 pronunciò a Marsiglia un celebre discorso di fronte alla crème del capitalismo esagonale in cui sostenne la necessità di percorrere un «double projet économique et social». Nel 2020, come detto, Danone adotta il nuovo statuto e una serie di impegni tra cui promuovere migliori pratiche di alimentazione, sostenere un modello di agricoltura più giusta e sostenibile, favorire la partecipazione dei dipendenti alle decisioni strategiche dell’azienda e aiutare gli attori più fragili dell’ecosistema che le ruota intorno.

Per Faber anche la corporate governance fa parte della sostenibilità. Da ciò conseguono decisioni controverse, in particolare il congelamento della remunerazione degli amministratori (compreso Faber, che rinuncia anche al diritto a una generosa pensione integrativa, la retraite chapeau). Imbarazzo degli altri membri del consiglio, che nella patria dei noyaux durs, siedono anche in altre società dove le remunerazioni degli amministratori sono generose, in un incrocio di interessi che difficilmente riesce a tutelare gli azionisti di minoranza. Ma Danone è ormai una public company e pertanto scalabile (anche se è difficile immaginare che l’ État non avrebbe qualcosa da ridire) e questo ha attirato l’attenzione dei fondi attivisti, che hanno comprato una piccola partecipazione e approfittato dei dissensi tra Faber e il Cda per ottenere la separazione degli incarichi di presidente e ad, e poi il licenziamento di Faber. Cui addebitano la performance del titolo, che durante la pandemia ha perso più di Nestlé, e uno stile di management troppo accentratore (Faber ha pubblicato un libro, “Ouvrir une voie”, tanto ricco di sollecitazioni intellettuali quanto povero di riflessioni autocritiche).

Si può cambiare il capitalismo dall’interno?

Un altro insegnamento della vicenda è che chi predica bene, e Faber lo aveva fatto nel 2019 addirittura al G7 di Biarritz e all’Onu, si espone. Che Bluebell Capital e Artisan Partners siano entrati nel capitale di Danone non è casuale: un’analisi di 506 investitori attivisti (quelli che non si limitano cioè a raccogliere dividendi) mostra che le società che sono più visibili dal punto di vista degli obiettivi non-finanziari tendono ad attirarne l’attenzione, il più delle volte non desiderata (DesJardine et al., 2020). Al contempo, presentarsi come modello di virtù genera un’immagine positiva in tempi normali, ma diventa un’arma a doppio taglio quando è urgente ridurre i costi. Ed è stato così per Faber, oggetto di critiche spietate per aver annunciato un piano da 2mila licenziamenti, un quarto in Francia, per far fronte alla crisi.

È proprio questo l’interrogativo di fondo – si può cambiare il capitalismo, rendendolo strumento di lotta contro le ingiustizie, dall’interno? La priorità più immediata consiste nel creare un linguaggio e una metrica comuni a tutti gli stakeholder che consentano di integrare la lotta al cambiamento climatico, ma anche la sostenibilità sociale, spesso relegata in secondo piano, nei piani strategici dell’impresa. Per questo è significativo che da fine 2021 Faber sia presidente dell’Issb (International sustainability standards board), l’organismo creato dall’Ifrs (International financial reporting standards foundation) per sviluppare le norme contabili sui rischi finanziari legati alle attività non (o insufficientemente) sostenibili delle imprese.

Che ne sarà della società a missione? Il successore di Faber, Antoine de Saint-Affrique, ha confermato l’adesione al progetto, i fondi hanno giustificato il loro intervento con la necessità di trovare un manager più adatto per raggiungere gli obiettivi e restano operative le istanze (comitato interno del consiglio e organismo indipendente terzo) per monitorarli. In ogni caso la forza del dispositivo sta anche nell’obbligo di maggioranza qualificata (2/3 degli azionisti) per ogni cambiamento di statuto. E nell’immediato la preoccupazione di de Saint-Affrique non sono gli yogurt low cost prodotti con il premio Nobel Muhammad Yunus, ma la Russia, che pesa per 6% del fatturato e dove qualsiasi decisione rischia di avere un impatto duraturo sulla reputazione di Danone.

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