ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùOpinioni

Donne ai vertici dei Cda, le quote servono ma da sole non bastano

Seppur in progressivo miglioramento, le forme di discriminazione di genere persistono nella governance aziendale anche in un Paese come l’Italia che ha adottato normative sulle quote di genere

di Elena Beccalli e Flavia Mazzarella

(Stocked House Studio - stock.adobe.com)

4' di lettura

Seppur in progressivo miglioramento, le forme di discriminazione di genere persistono nella governance aziendale anche in un Paese come l’Italia che ha adottato normative sulle quote di genere. Le quote sono state efficaci per avviare un cambiamento culturale: per le società italiane quotate la presenza delle donne nei consigli di amministrazione è superiore al 40% imposto dalla nuova normativa (nello specifico 41% nel 2021 con un balzo dal 6% nel 2008 secondo la relazione Consob sulla corporate governance delle società quotate italiane).

Negli Stati Uniti, dove non sono state adottate normative sulle quote, il rapporto annuale sulla presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle società dell’indice Us Russell 3000 documenta una percentuale meno favorevole di quella italiana (25,6% nel 2021), registrando peraltro proprio nell’anno della pandemia la crescita più consistente dell’ultimo decennio.

Loading...

Del resto, sempre in Italia, nell’Euronext Growth Milan (l’ex Aim Italia), per il quale nel luglio 2020 sono state introdotte importanti novità, ma nulla è stato previsto a proposito di gender diversity, la presenza di donne nei board raggiunge percentuali molto contenute (poco più del 15% nelle società ammesse nel 2020). Tale tendenza si conferma nelle società italiane non quotate (dove non esistono quote) in cui la percentuale di donne nei consigli di amministrazione è decisamente contenuta e merita attenzione e ulteriori interventi. Inoltre, si osserva una presenza femminile molto bassa, se non addirittura un’assenza, negli enti non vigilati. Non da ultimo, è rilevante il dato sull’assenza di donne nei consigli di amministrazione del 60% delle fintech con le migliori performance a livello internazionale.

Il ragionevole timore è che se si eliminassero, la presenza delle donne nei consigli di amministrazione potrebbe diminuire drasticamente e assai rapidamente. Anche in assenza di specifiche previsioni normative, una buona pratica di governo societario potrebbe essere quella di un intervento di autodeterminazione da parte dei consigli di amministrazione delle controllanti, con la previsione di board delle controllate diversificati per genere: si tratterebbe di un intervento decisivo, anche se complesso a causa di un oggettivo problema dal lato dell’offerta tanto da provocare una sorta di “discriminazione inversa”. Si potrebbero cioè determinare forme di forzatura,
ma queste paiono necessarie per compensare una storica
situazione di discriminazione e accelerare processi di trasformazione sociale e culturale.

Anche se non vi sono mai state così tante donne nei board delle società quotate italiane, sono ancora poche quelle che raggiungono
i ruoli apicali di amministratore delegato e presidente. Questo vale anche per le posizioni manageriali di alto livello, dove è assai scarsa la presenza femminile. A tale riguardo è molto importante lavorare sulla cosiddetta pipeline femminile, con interventi sul “lato dell’offerta” per ridurre il divario e mirare a una rappresentanza equilibrata delle donne.

Di norma nel settore bancario si osserva un sostanziale equilibrio di genere nelle posizioni di ingresso, ma man mano che si sale nella scala gerarchica il numero di donne si riduce drasticamente; lo stesso fenomeno si registra nello sviluppo professionale (grade) all’interno dello stesso inquadramento. Il problema pare essere la progressione di carriera delle donne: come documenta McKinsey per gli Stati Uniti dal 2016 a oggi, le donne sono state promosse a ruoli manageriali a tassi di gran lunga inferiori rispetto agli uomini. Queste
evidenze confermano che il pregiudizio di genere influenza
i percorsi di carriera con il cosiddetto “soffitto di vetro” (glass ceiling). Probabilità eque nei percorsi di carriera, infatti,
porterebbero a situazioni molto diverse.

Quali sono le ragioni che determinano il gap di offerta? Una prima ragione è la necessità di un cambiamento culturale che permetta alle ragazze di avvicinarsi a discipline tradizionalmente considerate più maschili: occorre superare stereotipi e incoraggiare le donne a dedicarsi maggiormente a percorsi di studio quantitativi e tecnologici incentrati su materie Stem (Science, technology, engineering, and mathematics). Ciò è particolarmente importante per i lavori futuri, dove la scienza dei dati e la componente tecnologica diventeranno ancora più pronunciate e diffuse. Considerati gli attuali bassi livelli di presenza femminile nelle aziende fintech, soprattutto per quanto attiene le posizioni di carattere tecnico basate su data science o software engineering, l’azione diventa urgente.

Inoltre, è necessario fare in modo che le donne siano pronte ad assumere responsabilità dirigenziali e gestionali quando viene loro richiesto, senza limitare le loro opzioni prestando comunque attenzione al giusto equilibrio tra lavoro, vita personale e familiare. Qui entriamo in una barriera comportamentale, influenzata anche dai pregiudizi e dai preconcetti familiari.

Un ruolo decisivo in tali direzioni potrebbe essere svolto dalle risorse stanziate per l’Italia dal Next Generation Eu per riforme strutturali volte a valorizzare le diversità e superare le barriere culturali e comportamentali. Le quattro azioni del governo italiano riguardano innanzitutto l’introduzione di un sistema nazionale di certificazione per la parità di genere nelle imprese al fine di orientare e valorizzare le politiche aziendali a supporto del tema di genere in termini di occupazione, remunerazione, promozioni e carriere, valorizzazione dei talenti e leadership. Ancora, investimenti nell’imprenditoria femminile, non solo per l’accesso al credito, ma anche per i processi formativi, soprattutto nelle nuove tecnologie e con una particolare attenzione alle piccole e medie imprese. Inoltre, aumento degli asili nido. Infine, valorizzazione della formazione Stem, per accrescere le competenze scientifiche e tecnologiche per le donne. Serve formazione degli insegnanti, valutazione e riformulazione dei curricula, nuova didattica per promuovere il ruolo di protagonista delle donne in ambito scientifico.

Di particolare rilievo il ruolo delle aziende, che potrebbero prevedere – in ottica di buon governo societario – piani operativi triennali con misure per favorire l’empowerment femminile, quale parte integrante degli obiettivi strategici, e l’individuazione di specifici key performance indicator, quantificabili e misurabili, da rendicontare annualmente nell’ambito della dichiarazione non finanziaria sulla quale sempre più si concentra l’attenzione degli investitori.

Riproduzione riservata ©

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti