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Sorpasso storico a Piazza Affari: controllo delle quotate sempre più ai fondi

La conferma è arrivata dall’ultima tornata assembleare: i gruppi familiari ora sono in minoranza, secondo i dati forniti dalla società di consulenza Georgeson

di Luca Davi

(marcorubino - stock.adobe.com)

3' di lettura

Il sorpasso era nell’aria, perché da anni oramai il trend è chiaro. Ma la conferma si è avuta con la tornata assembleare appena conclusa, che ha certificato il definitivo ribaltamento delle posizioni di forza. Le società quotate italiane sono sempre meno controllate da investitori strategici, gruppi familiari in primis, e sempre più in mano invece al mercato, ovvero i grandi fondi di investimento internazionali.

Risultato storico

Secondo i dati forniti da Georgeson, società di consulenza in corporate governance, che presenterà domani a Milano una survey in un convegno organizzato insieme ad Enel, a fronte di un quorum assembleare medio 2022 del 69,74%, oltre la metà (35,72%) era espresso delle cosiddette (ex) minoranze, mentre il restante 34% era in mano agli investitori strategici. «Si tratta di un risultato storico che tuttavia ci aspettavamo – spiega Lorenzo Casale, responsabile Italia di Georgeson – perché arriva come esito di un lungo processo di evoluzione degli assetti proprietari che si è sviluppato negli ultimi dieci anni».

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La trasformazione della base azionaria delle quotate italiane è sotto gli occhi di tutti: da sistema sostanzialmente detenuto da pochi azionisti di controllo, il listino principale è diventato oggetto di un crescente interesse da parte degli istituzionali, a partire dai fondi di investimento esteri. Una componente, quest’ultima che, da minoranza silente, si è trasformata in maggioranza sempre più attiva, anche a livello assembleare.

Posizioni di forza ribaltate

Difficile, a questo punto, chiamarle ancora “minoranze”. Ma come si è arrivati a questo ribaltamento delle posizioni di forza? «Nel corso del tempo abbiamo assistito a un inevitabile arretramento della componente strategica, che prima era tipica del mercato italiano – aggiunge Casale - Nel contempo però c’è stato un’ampliamento del flottante: i grandi investitori istituzionali hanno aumentato la presenza nel capitale e la partecipazione al voto. Chi prima non votava, ad esempio, oggi vota anche per sopperire all’equity». Anziché comprare azioni per incidere sulle scelte di una società, è la tesi, «un investitore cerca di incidere su una determinata posizione e si esprime, in linea con la prassi internazionale».

L’allineamento al trend tipico di altri paesi e dei mercati evoluti, dove il peso preponderante degli istituzionali è da tempo già realtà, è sinonimo di una maturazione importante del mercato italiano, che si mostra più reattivo e trasparente nel dialogo con i diversi stakeholder, anche grazie all’engagement sviluppato nel corso degli anni e al progressivo allineamento alle best practices internazionali sulla governance. «Le società sono sempre più attente agli investitori e agli stakeholder. L’integrazione degli aspetti Esg nella strategia, nella remunerazione e negli strumenti di finanza sostenibile è indice di un mercato reattivo, che è oggi ben percepito a livello internazionale», spiega il presidente di Enel, Michele Crisostomo, che interverrà nel convegno.

La timidezza sul fronte Esg

Se molto lavoro è stato fatto, altrettanto ne rimane sul fronte Esg. Le quotate italiane ad esempio appaiono ancora timide sui temi legati alla sostenibilità e all’assorbimento dei principi Esg nelle politiche industriali. «E attenzione: oggi quella dei fondi è una semplice moral suasion ma in prospettiva l’adesione o meno ai richiami Esg sarà differenziante - conclude Casale - Il 45% dei fondi già oggi ci dice che è plausibile una strategia di esclusione o riduzione del peso in portafoglio delle società non rispondenti ai criteri Esg. In questo quadro, stabilire un contatto con gli attori che hanno un peso, intesi come frameworks, agenzie di rating ed iniziative globali, si rivelerà una necessità, più che una moda».

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