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A Piazza Affari parte la corsa al rinnovo di 62 board: 230 posti per le donne

Elezione in vista per i board di diversi pezzi da novanta delle controllate del Tesoro, ma anche per la folta rappresentanza di finanziarie

di Monica D'Ascenzo

(IMAGOECONOMICA)

4' di lettura

Tornata di rinnovi dei consigli di amministrazione interessante nel 2023 per le società quotate a Piazza Affari. E non solo perché vanno a rinnovo i board di diversi pezzi da novanta delle controllate del Tesoro, ma anche per la folta rappresentanza di finanziarie e di industriali che dovranno ridisegnare gli organi societari.

Nel complesso le assemblee di 62 società saranno chiamate ad eleggere 584 consiglieri. Di questi una quota - circa 230 - è riservata al genere meno rappresentato (nella generalità dei casi le donne) secondo la legge Golfo-Mosca del 2011: la percentuale è stata elevata dal 30% al 40% da un emendamento dalla legge di Bilancio del 2020, per sei mandati consecutivi. Fanno eccezione le società appena quotate, che hanno l’obbligo di riservare alle donne il 20% dei posti.

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Se, però, l’Italia è fra i Paesi più virtuosi in Europa per la percentuale di donne nei board (siamo già al 40,8%), restano ancora una rarità le presenze femminili ai vertici aziendali: le amministratrici delegate a fine 2021 erano 16 e le presidenti solo 31. A fare la differenza, anche in termini di peso, erano state nelle ultime tornate di rinnovi le nomine di donne da parte del Mef alla presidenza: Lucia Calvosa in Eni, Maria Bianca Farina in Poste Italiane, Valentina Bosetti in Terna, Maria Patrizia Grieco in Banca Mps, Francesca Isgrò in Enav. Il passo mancante è quello di vedere figure femminili anche nel ruolo di ad.

Le nomine del Mef

Tutta l’attenzione è stata catalizzata in questi ultimi mesi proprio dalle nomine delle società controllate dal Mef. Attenzione comprensibile anche per il cambio di governo dell’autunno scorso, che vedrà l’esecutivo guidato dalla premier Giorgia Meloni debuttare nell’individuare i vertici di importanti gruppi italiani. Lo scorso anno erano state in tutto 49 le società (fra quotate e non) controllate dal Tesoro che avevano nominato il nuovo board, per un totale di 230 consiglieri, a cui si sommavano anche i 120 membri dei collegi sindacali in scadenza, da Invitalia a Snam e Sace, solo per fare alcuni nomi.

Quest’anno andranno al rinnovo del board 17 società partecipate direttamente dal Mef e 46 società indirettamente partecipate, secondo la documentazione pubblicata online, che salgono rispettivamente a 18 e a 54 se si contano anche i rinnovi dei soli collegi sindacali. I riflettori, però, sono accesi in particolar modo su Eni, Enel e Leonardo, certo più per i cambi che potrebbero interessare i vertici che non per le composizioni dei cda. Fra le quotate in Borsa Italiana board “nuovi” anche per Poste Italiane, Banca Mps, Terna e Enav.

I rinnovi della finanza

Nutrito anche il novero delle società del settore finanziario. Se per Mediobanca sarà necessario attendere ottobre, in primavera i soci di Anima Holding, Banco Bpm, Banco di Desio, Conafi, Equita Group, Finecobank dovranno votare per i board. Discorso a parte per la Banca Popolare di Sondrio, che rinnova solo un terzo del cda all’anno e quest’anno dovranno essere eletti 5 membri. Assenti all’appello 2023 le assicurazioni.

I consiglieri di amministrazione delle società finanziarie dovranno soddisfare i requisiti e criteri di idoneità previsti dal decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze entrato in vigore a fine 2020, che si basano su esperienza, onorabilità, conflitti di interesse e indipendenza di giudizio e idoneità complessiva.

Il peso degli industriali

Il comparto che fa la parte del leone in questo 2023 è senz’altro quello degli industriali, con una capitalizzazione complessiva delle società interessate dai rinnovi di 16 miliardi di euro. D’altra parte bastano tre gruppi a fare gran parte del peso totale: Interpump Group con 5,6 miliardi, Brembo con 4,5 miliardi e Buzzi Unicem con 4 miliardi di valore di Borsa.

Diversi gruppi sono ancora controllati dalla famiglia del fondatore come nel caso di LuVe, che ha già vissuto il passaggio generazionale dal fondatore Iginio Liberali, classe 1931, al figlio Matteo nominato in gennaio presidente e ceo, dopo la scomparsa del padre a dicembre. In Cir, dove i fratelli De Benedetti controllano ancora il 36% del capitale, nel board il presidente Rodolfo De Benedetti è affiancato dall’amministratrice delegata Monica Mondardini ormai dal 2013.

Composizione inversa (per genere) nel cda di Gefran, dove la presidente (con la famiglia azionista di maggioranza) Giovanna Franceschetti guida la società con l’ad Marcello Perini, in azienda da oltre 20 anni. In Somec l’ad è l’imprenditore Oscar Marchetto, che ha investito con il nuovo management nel capitale nel 2013. In questi casi la parola d’ordine è stabilità e grandi cambiamenti, anche nei board. non dovrebbero verificarsi.

Potrebbe invece non arrivare da quotata all’assemblea per la nomina del cda Prima Industrie, attualmente oggetto dell’Opa lanciata da Femto Technologies (Alpha Private Equity e Peninsula Investments) che aveva già acquistato il 50,1% del capitale e a metà dicembre aveva varato la nuova governance, con la nomina di Giovanni Negri nel ruolo di ad, mentre il fondatore Gianfranco Carbonato ha mantenuto la presidenza esecutiva e Domenico Peiretti, altro storico azionista, è diventato vicepresidente non esecutivo. L’offerta è iniziata il 30 gennaio 2023 e terminerà il 22 febbraio.

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