ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùStrumenti aziendali

Investitori di raccordo tra imprese e risparmio da consolidare

Si intensifica il dibattito sull’urgenza di recepire nell’ordinamento nazionale il voto plurimo “alla olandese”, che consenta maggiorazioni di voto fino a multipli a doppia cifra

di Simone Strocchi

(Shutter2U - stock.adobe.com)

3' di lettura

Si intensifica il dibattito sull’urgenza di recepire nell’ordinamento nazionale il voto plurimo “alla olandese”, che consenta maggiorazioni di voto fino a multipli a doppia cifra. Pur non essendo un sostenitore del voto plurimo esasperato, ritengo in generale importante agire perché in Italia diventino fruibili soluzioni e strumenti disponibili sulle altre piazze europee. Oggi è più importante evitare una inarrestabile emigrazione della governance delle nostre imprese, con conseguente contrazione della dimensione dei nostri mercati, piuttosto che distinguersi in raffinati dibattiti in punta di diritto. Per questa ragione ritengo che anche il nostro sistema normativo e regolamentale debba rafforzare la facoltà di moltiplicare il voto, evitando così di lasciare uno spazio di competitività tecnica alla piazza olandese che, mai come in questi anni, si è fatta agguerrita nell’incentivare trasferimenti di sede, conferimenti di asset ad enti giuridici locali e a perorare scelte di migrazione di listino borsistico che suscitano interesse crescente di imprese italiane. Sono convinto che saranno poi, come sempre, gli investitori a determinare il mercato e, dunque, opportunità reali, riscontro di valore ed equilibri. Anche perché ritengo che il mercato difficilmente avallerà l’ipotesi che, in forza del possesso di azioni a voto plurimo, un soggetto che detenga ad esempio l’11% abbia il diritto di governare una società per sempre. Del resto, il valore di ogni strumento finanziario (azioni incluse) tiene conto della correlata partecipazione al rischio, al rendimento e alla governance del relativo ente emittente. Dunque, anche l’incremento o decremento dei diritti di voto si riflette sul valore degli strumenti correlati, a parità di altre condizioni.

Diversi sono gli esempi di applicabilità del voto plurimo: se proposto in sede di Ipo per mantenere la governance nelle mani dei soci storici, potrebbe essere applicato ad una categoria di azioni speciali, come le “Price Adjustment Share” (che si confermano al raggiungimento di determinati obiettivi di redditività) in modo da condizionarne la portata, oppure ancora potrebbe essere attribuito ad azioni subordinate al diritto prioritario di dividendo alle azioni ordinarie (condizione che già assolvevano le c.d. “azioni di risparmio”). Si è spesso assistito ad una certa attività di prestito titoli in prossimità di alcune assemblee “sensibili” per facilitare, a fronte del pagamento di un “canone”, la costituzione di blocchi di voto maggiorato. In un certo senso, il voto plurimo potrebbe essere assimilato ad un prestito titoli sintetico valido in ogni assemblea per corroborare la governance di una azienda. Ma quale sarebbe il canone corretto da corrispondere? E quindi quale sarebbe il valore attualizzato di quel canone perpetuo? Non voglio certo arrivare a conclusioni di valorizzazione puntuale, ma tengo a sollecitare lo sviluppo di ragionamenti centrati sul voto plurimo in generale, per determinare corretti equilibri, sia che esso sia proposto nell’ambito di quotazioni, sia che si intenda attribuirlo ad una classe di azioni per splitting azionario.

Loading...

Ma la sfida oggi più urgente, e a me più cara, su cui vorrei animare e alimentare un dibattito che trovi al più presto un seguito di azioni concrete, rimane quella finalizzata a popolare i nostri mercati di investitori liberi da stringenti vincoli di compliance su indici di liquidità. Perché quello che sta penalizzando le nostre imprese, più che elementi di mera tecnica di costruzione di strumenti finanziari, è la preponderanza di investitori di mercato qualificati in fondi UCITS, che devono rispettare indici di liquidità che le nostre matricole, spesso pmi, non sono in grado di offrire nei primi cinque anni dall’avvio sui listini. Oggi serve dare una risposta frazionata e congrua di investitori ad un’offerta frazionata di strumenti finanziari.

Servono Fondi chiusi, Eltif, SICAF quotate, Cornerstone Investor in pre-IPO e IPO. È necessario che si attivino esperti di PIPE (private investment in public equity). È urgente creare un limbo tra private equity e public equity che l’EGM potrebbe intestarsi, se sostenuto da un ecosistema di investitori competenti e liberi dalla venerazione giornaliera del “totem della liquidità”. Anche il Fondo Europeo per gli Investimenti si sta sensibilizzando su questa urgenza, essenziale soprattutto per favorire lo sviluppo delle nostre imprese, che sono di medie dimensioni e che, anche quando quotate, non riescono ad entrare nei range di liquidità UCITS, pur avendo una potenzialità di crescita significativa che risponde perfettamente agli appetiti dei fondi chiusi. Per questo sul mercato abbiamo bisogno di un maggior numero di fondi chiusi e di correlate competenze gestorie. Per vincere la competizione degli olandesi forse basta recepire le loro regole sul voto plurimo, contenere e rispettare le timeline di applicazione; ma per contrastare l'emorragia (a volte sonnolenza) che affligge i nostri mercati, serve popolare, frazionare e meglio qualificare adeguatamente gli investitori di raccordo tra risparmio italiano ed impresa nazionale.

Riproduzione riservata ©

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti